domenica 14 ottobre 2012

L'Espressività Musicale nell'Arte e nella Scienza

Siamo entrati ufficialmente nell'autunno: l'aria è più fresca, gli alberi si trasformano e le tonalità della terra si fanno più calde, in un gioco di sentori e sapori particolari. 
Autumn Leaves è una ballad dal sound intimo e nostalgico, composta da Joseph Kosma nel1945 sui versi del poeta Jacques Prèvert, un inno all'amore di una musicalità rarefatta. 


Accenti che si ritrovano nei trascinanti fiati di due compositori della scena del jazz: Miles Davis, trombettista statunitense, Cannonball Adderley, sassofonista, anch'egli statunitense. il suono caldo e morbido del sax contrapposto al suono penetrante e corposo della tromba, creano insieme particolari nuance cromatiche, ed effetti di rara bellezza di altissimo virtuosismo strumentale.
In una composizione musicale ci sono infatti una serie di elementi costitutivi del suono, che combinati assieme in modo vario e complesso, conferiscono alla musica un determinato carattere espressivo, l'umore della composizione. Tra questi rientra anche la potenzialità espressiva dello strumento. 
Ritmo, armonia, melodia - nel linguaggio della musica - sono in fondo gli stessi elementi che danno spazialità e forma alla narrazione in relazione a ciò che percepiamo. Ogni suono riporta a un'immagine e un'immagine a un colore e un colore a un'emozione. In questo intreccio sinestetico il suono svolge un ruolo da trasmettitore. 

Ciò permette una prima constatazione: "la musica prima ancora di essere una realtà sonora, è anzitutto un concetto, cioè una rappresentazione mentale e astratta che noi associamo a una realtà del mondo. Quando usiamo la parola musica ritagliamo una certa porzione di realtà, indichiamo un certo tipo di fenomeni sonori anziché altri. La ragione profonda sta nel fatto che la musica non è solamente suono organizzato. Quando noi qualifichiamo come musicale un qualsiasi fenomeno, ci riferiamo non tanto alla musica quanto a una realtà più vasta. Esso comprende non solo la manifestazione sonora - che è primaria ed essenziale - ma tutto ciò che si collega al musicale" (Il suono e la mente, Einaudi 2007). La musica, quindi, è in grado di attivare molti sistemi contemporaneamente, e ciò vale per i produttori così come per i fruitori.  Per questo la capacità di godere la musica coinvolge da tempo l'attenzione e la curiosità di studiosi riguardo ai meccanismi mentali con cui vengono recepiti suoni e ritmi; forti sensazioni di piacere si verificano principalmente per via della dopamina - come spiegano le ultime ricerche. In questa relazione uomo-suono, possono essere ora stabilite delle correlazioni precise che incidono in modo significativo e variabile tra un individuo e l'altro, tali da rendere possibili passaggi che assottigliano lo spessore tra i due universi.  

Scrive Charles Darwin: "La perdita degli interessi per la musica, la pittura, la poesia costituiscono una perdita di felicità e non è escluso che possa risultare lesiva per l'intelletto e, più probabilmente ancora, per il carattere morale, perché indebolisce il risvolto emozionale della nostra natura". 
Definizione splendida, non soltanto perché consente di misurare il cammino percorso in più di un secolo, ma perché sottolinea il fatto che dietro l'attività artistica esiste una base unitaria, dove convivono diversi livelli di competenza teorica, storica, espressiva, che concorrono a formare l'essere umano.
Vi lascio dunque con le note di Autumn Leaves, arrangiamenti raffinati sottolineano le singole note ed amplificano la gamma espressiva di questo Standard, un brano della memoria e dei sentimenti. 




Contributo per il Carnevale della Chimica ospitato da Paolo Pascucci. "La chimica dell'amore" è il tema molto interessante di questa edizione. Buona lettura.

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giovedì 11 ottobre 2012

Quando la Musica è Poesia: Charles Baudelaire a Richard Wagner


Ci sono lettere destinate ad essere memorabili. Ci sono storie che vanno oltre il tempo e non sono mancate poesie. Ci sono affinità che sfidano le distanze e percorrono i sentieri del cuore. Ci sono parole come queste e sono bellissime da vivere.

 

A Richard Wagner

Parigi, Venerdì 17 febbraio 1860

Signore,

ho sempre creduto che un grande artista, per quanto possa essergli familiare la gloria, non sarebbe affatto insensibile a un complimento sincero, quando tale complimento fosse come un grido di riconoscenza, e quando questo grido avesse un valore particolare, per il fatto di venire da parte di un francese, cioè di un uomo poco incline all’entusiasmo e nato in un paese dove non si sa di poesia e di pittura più di quanto non si sappia di musica. Anzitutto vi sono debitore del godimento musicale più profondo ch’io abbia mai provato. Ho un'età nella quale non ci si diverte più davvero a scrivere a persone famose, e avrei del resto a lungo esitato a testimoniarvi per lettera la mia ammirazione, se ogni giorno non mi capitassero sotto gli occhi articoli indegni, e ridicoli, che si dan da fare in mille maniere per diffamare il vostro genio. Non siete il primo, signore, a causa del quale ho dovuto soffrire e arrossire per il mio paese. Ma ora l'indignazione m'ha spinto a esprimere in modo esplicito la mia riconoscenza. Mi son detto: non voglio essere confuso con questa pletora di imbecilli.

La prima volta che mi son recato al Théátre des Italiens, per ascoltare le vostre opere, ero abbastanza maldisposto, e persino, lo confesso, pieno di pregiudizi. Ma son da scusare, sono stato tanto spesso ingannato: m'è capitato troppe volte d'ascoltare musica composta da ciarlatani. Da voi sono stato immediatamente conquistato. Non si può descrivere quel che ho sentito, e se vi trattenete dal sorridere, proverò a tradurvelo in parole. In un primo momento m'è parso di conoscere quella musica, ma più tardi, riflettendovi, ho capito da che nasceva tale miraggio: mi pareva che quella musica fosse mia, e la riconoscevo così come ognuno riconosce le cose che è destinato ad amare. Per chiunque non abbia finezza di spirito una frase di questo tipo risulterebbe estremamente ridicola, soprattutto se scritta da uno come me, che non sa di musica, la cui educazione si limita al fatto d’avere ascoltato (d'accordo, con grande godimento) alcuni brani di Weber e di Beethoven.

Inoltre mi ha molto colpito, più di ogni altro aspetto, il senso di grandezza. Un carattere che rappresenta ciò che è solenne, e tende verso il solenne. Dappertutto nelle vostre opere sento la solennità degli immensi sussurri, delle grandi visioni della Natura, la solennità delle forti passioni dell’uomo. Subito ci si sente soggiogati e trasportati in alto. Uno tra i brani più singolari, e tra quelli che mi hanno dato una sensazione musicale davvero nuova, è il brano che ha la funzione di descrivere uno stato di estasi religiosa. L'effetto dell'Ingresso degli invitati e della Festa nuziale è immenso.

Ho avvertito il senso maestoso d'una vita che ha un respiro più grande della nostra. Ancora: ho spesso provato un sentimento di genere assai bizzarro, la fierezza e il godimento nel comprendere, del lasciarsi penetrare profondamente: piacere davvero sensuale, simile al piacere che si ha nel salire su in aria o nel lasciarsi portare dalle onde. La musica talvolta respirava il senso forte del vivere. Complessivamente quelle armonie profonde mi parevan somigliare a quegli eccitanti che accelerano le pulsazioni dell'immaginazione. E ho anche provato, e vi prego di non sorridere, sensazioni che derivano probabilmente dalla conformazione del mio animo e dalle mie consuete preoccupazioni. Dappertutto c'è qualcosa di elevato e che eleva, qualcosa che aspira a salire sempre più in alto, qualcosa che ha il sapore dell’eccesso e della straordinarietà. Faccio un esempio: per usare immagini tolte al linguaggio della pittura, mi immagino d'aver davanti agli occhi una vasta distesa d'un rosso intenso. Se questo rosso rappresenta la passione, io lo vedo gradualmente attraversare tutta la gamma del rosso e del rosa e giungere all’incandescenza della fornace. Sembrerebbe difficile, persino impossibile giungere a qualcosa di più ardente, ed ecco che ancora un'ultima scintilla sprizza tracciando un solco più bianco sul bianco che le serve da fondo. Si tratterà, se così vogliamo dire, dell'estrerno grido dell'animo elevatosi sino al parossismo.

Avevo cominciato a scrivere qualche breve meditazione sui brani del Tannhäuser e del Lohengrin che abbiamo ascoltato, ma ho dovuto ammettere che è davvero impossibile dir tutto. E così potrei continuare senza fine questa lettera. Se avete potuto leggermi vi ringrazio. Mi resta da aggiungere solo qualche parola. Dal giorno in cui ho ascoltato la vostra musica, continuo a dirmi senza sosta, soprattutto nelle ore tristi: potessi almeno sentire stasera un po' di Wagner. E non c'è dubbio che anche altri avranno i miei stessi sentimenti. In conclusione, voi avreste dovuto esser soddisfatto del pubblico, il cui istinto è stato ben più forte della cattiva scienza dei critici giornalisti. Perché non prendete in considerazione l'idea di dare ancora qualche concerto, aggiungendo nuovi pezzi? Ci avete fatto gustare un assaggio di delizie mai provate: avete il diritto di privarci di quel che segue? – Ancora una volta, signore, vi ringrazio: in ore cupe voi siete riuscito a ricondurmi a me stesso e all'immenso.

Ch. Baudelaire

Non aggiungo il mio indirizzo, perché potreste credere che abbia qualcosa da chiedervi.


Lettera di Richard Wagner

Parigi, 15 aprile 1861

Mio caro signor Baudelaire,

sono venuto diverse volte a casa vostra senza trovarvi.

Sappiate che sono desideroso di dirvi quale immensa soddisfazione mi ha dato il vostro articolo che mi onora e mi incoraggia più di tutto ciò che non sia mai stato detto del mio povero talento.

Non sarebbe possibile dirvi presto, di persona, come mi sia sentito inebriato leggendo le vostre belle pagine che mi raccontavano – come lo fa la miglior poesia – le impressioni che devo vantarmi di aver prodotto su un’intelligenza superiore come la vostra?

Grazie mille del favore che mi avete fatto e spero di potervi chiamare amico.

A presto, non è vero?

Vostro,

Richard Wagner


Charles Baudelaire, Il vulcano malato. Lettere 1832-1866, a cura di Cinzia Bigliosi Franck, Fazi Editore, 2007.